Con ordinanza n. 17183, depositata il 14 agosto 2020, la Prima Sezione Civile di questa Corte ha ulteriormente precisato i limiti entro cui il figlio maggiorenne “convivente” può ottenere il mantenimento a carico dei propri genitori. Il Collegio ha puntualizzato, in particolare, che, ultimato il prescelto percorso formativo (scuola secondaria, facoltà universitaria, corso di formazione professionale), il maggiorenne debba adoperarsi per rendersi autonomo economicamente. A tal fine, egli è tenuto ad impegnarsi razionalmente e attivamente per trovare un’occupazione, tenendo conto delle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni. Segnatamente, alla luce del principio di autoresponsabilità che permea l’ordinamento giuridico e scandisce i doveri del soggetto maggiore d’età, costui non può ostinarsi e indugiare nell’attesa di reperire il lavoro reputato consono alle sue aspettative, non essendogli consentito di fare abusivo affidamento sul supposto obbligo dei suoi genitori di adattarsi a svolgere qualsiasi attività pur di sostentarlo ad oltranza nella realizzazione (talvolta velleitaria) di desideri ed ambizioni personali. Tale pronuncia della Suprema Corte ha carattere fortemente innovativo rispetto all’orientamento giurisprudenziale sin qui dominante. Tale ordinanza, infatti, interpreta nuovamente l’art. 337 septies c.c., che statuisce che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto”. La Cassazione invita il soggetto di cui si sta occupando a ridurre eventualmente “le proprie ambizioni adolescenziali” pur di trovare il modo di auto-mantenersi. Altro fondamentale aspetto dell’intervento della Suprema Corte è da vedersi nella inversione dell’onere della prova, che si sposta a carico del beneficiario, contro la costante giurisprudenza precedente. L’ordinanza, a tal proposito, stabilisce che “Ciò è coerente con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, secondo cui la ripartizione dell'onere probatorio deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio riconducibile all'art. 24 Cost, ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova; conseguentemente, ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l'onere della prova, pur negativa. E’ un netto cambio di rotta nella giurisprudenza italiana, le cui ripercussioni saranno importanti e sicuramente analizzate dagli operatori del diritto successivamente. Avv. Mario Astolfi